Sanzioni al Codice della strada: no agli interessi in cartella esattoriale

Nessun aumento semestrale del 10% per le sanzioni irrogate da verbali di contestazione per infrazioni al Codice della Strada.

In caso di ritardo nel pagamento della sanzione, l’art. 203 C.d.S. prevede l’iscrizione a ruolo della sola metà del massimo edittale, oltre le spese di procedura, in deroga a quanto disposto dall’art. 27, L. n. 689/1981; esclusi, dunque, dalla cartella esattoriale gli aumenti semestrali suddetti.

E’ quanto ribadito dall’Avvocatura Generale dello Stato, conformemente alla pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 3701/2007, in risposta alla richiesta di chiarimenti pervenuta dalla Prefettura di Novara (download).

Richiedi una consulenza legale su questo argomento.

Obbligo di pneumatici invernali o catene a bordo durante il periodo invernale.

A seguito delle modifiche introdotte al Codice della Strada dall’art. 1 della Legge 29 luglio 2010, n° 120 “Disposizioni in materia di sicurezza stradale” i gestori di strade e autostrade, ciascuno per il tratto di propria competenza, a norma dell’art. 6, comma 4, lettera e del C.d.S., possono prescrivere l’obbligo di catene a bordo o pneumatici termici, indipendentemente dalla presenza contingente di condizioni climatiche particolarmente proibitive.
L’obbligo è previsto per i tratti di strada che risultano più esposti al rischio di precipitazioni nevose o formazione di ghiaccio durante la stagione invernale, normalmente contrassegnati con apposita segnaletica verticale ed ha la finalità di garantire la sicurezza in caso di repentino mutamento della situazione meteorologica.
Un’eventuale violazione dell’obbligo di catene a bordo o pneumatici invernali è passibile di una sanzione amministrativa dal €84 ad € 335 ex art. 6, comma 14 del C.d.S.. La presenza delle catene a bordo del veicolo non è disciplinata da una normativa nazionale. Sono gli enti cui è delegata la gestione di strade e autostrade a stabilire se, per quanto tempo e in quali tratti prescrivere quest’obbligo.
Generalmente il periodo interessato dall’obbligo di catene a bordo o pneumatici invernali è compreso tra il 15 novembre di ogni anno (salvo alcune eccezioni, ad esempio ha inizio il primo novembre in alcune strade del senese, dell’Umbria, dell’Emilia-Romagna e della Basilicata e il 15 ottobre in Valle d’Aosta) e termina il 15 aprile successivo.

L’obbligo di mantenere il figlio maggiorenne cessa se questi percepisce un reddito sufficiente in relazione alla professionalità raggiunta, anche se aspira ad un lavoro migliore.

Cassazione civile, sez. I, 3 settembre 2013, n. 20137

Il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne gravante, sotto forma di obbligo di corresponsione di un assegno, sul genitore non convivente, cessa all’atto del conseguimento, da parte del figlio, di uno “status” di autosufficienza economica consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato.
Pertanto, l’attribuzione del beneficio periodico non può essere fondata su ragioni improprie quali la perdita di chances rispetto ad una migliore e più proficua formazione personale e collocazione economico sociale, guardando al livello culturale e socio economico della famiglia di origine. In tal modo, si valorizza illegittimamente il diverso aspetto della responsabilità genitoriale, avente natura squisitamente compensativa e risarcitoria, indebitamente assumendolo a funzione del mantenimento.

Richiedi una consulenza legale su questo argomento.

Il decreto di modifica delle condizioni di divorzio è immediatamente esecutivo.

Cassazione civile, sez. unite, 26 aprile 2013, n. 10064

Le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto secondo cui il decreto pronunciato dal tribunale in materia di revisione delle disposizioni sui figli e sui contributi da corrispondere in caso di scioglimento e cessazione degli effetti del matrimonio, previsto dall’art. 9 della legge n. 898 del 1970, è immediatamente esecutivo, in conformità alla regola generale desumibile dall’art. 4 della stessa legge, che è incompatibile con la disposizione comune dell’art. 741 cod. proc. civ. in tema di procedimenti camerali, il quale subordina l’efficacia esecutiva al decorso del termine per la proposizione del reclamo.

Richiedi una consulenza legale su questo argomento.

La casa costruita sul terreno di proprietà esclusiva di uno solo di essi appartiene a quest’ultimo.


Cassazione civile, sez. II, 30 maggio 2013, n. 13603

«Nel regime di comunione legale dei beni, la costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi sul suolo personale ed esclusivo di uno solo di essi, stante la operatività del regime dell’accessione, appartiene esclusivamente a quest’ultimo e non costituisce, pertanto, oggetto della comunione legale, ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. a), c.c..
In tali ipotesi la tutela del coniuge non proprietario opera non già sul piano del diritto reale, bensì sul piano obbligatorio, per cui competerà a questi un diritto di credito ai sensi dell’art. 936, comma 2, c.c..
L’indennizzo riconosciuto ai sensi dell’art. 936 c.c. al coniuge che ha contribuito a costruire l’immobile sul fondo di proprietà esclusiva dell’altro coniuge costituisce debito di valore ed è commisurato al valore di mercato dei materiali utilizzati ed al prezzo della manodopera al momento in cui si è verificata l’accessione, con la conseguenza che il relativo credito deve essere rivalutato secondo gli indici Istat dalla data della domanda».

(estratto della sentenza)
Richiedi una consulenza legale su questo argomento.

Al reato di omesso versamento dell’assegno divorzile si applicano unicamente le pene previste dal primo comma dell’art. 570 c.p.

Cassazione penale, sez. unite, 31 maggio 2013, n. 23866

Secondo le sezioni unite penali l’art. 12-sexies della L. 1 dicembre 1970, n. 898 (introdotto dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 21) delinea una fattispecie di reato, nella parte precettiva, del tutto autonoma rispetto all’art. 570 c.p..
La condotta è così puntualmente definita “Al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall’art. 570 del codice penale”.
Deve ritenersi dunque un generico rinvio quoad poenam, all’art. 570 c.p. che, in mancanza di sicuri elementi testuali orientativi scaturenti dal testo legislativo, va riferito – in sintonia con il rapporto di proporzione e con il criterio di stretta necessità della sanzione penale – all’art. 570 c.p., comma 1, che costituisce l’opzione più favorevole all’imputato, ponendo in via alternativa tra loro la pena detentiva e la pena pecuniaria.
É stata inoltre rilevata la mancanza di identità contenutistica tra la fattispecie descritta nel secondo comma dell’art. 570 c.p. e quella prevista dall’art. 12 sexies legge 1 dicembre 1970, n. 898.
La fattispecie delittuosa descritta dal secondo comma dell’art. 570 c.p. non ha alcuna affinità con quella prevista dalla Legge sul Divorzio, che si riferisce unicamente al mancato versamento dell’assegno divorzile, poiché, diversamente da quest’ultima, presuppone lo stato di bisogno.
Il secondo comma dell’art. 570 c.p. prevede infatti che l’obbligato, a causa del suo comportamento omissivo, faccia mancare i mezzi di sussistenza al beneficiario, vale a dire, quei mezzi indispensabili alla vita dell’avente diritto.
In tal modo, quindi, circoscrive la condotta penalmente rilevante, rispetto alla violazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile, le cui conseguenze hanno una portata certamente più ampia.
La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire che il reato di che trattasi è procedibile d’ufficio, rammentando che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., e tenuto conto che la procedibilità a querela di parte è sempre collegata alla tipologia e al contenuto del precetto ed è indipendente dalla gravità del reato.
In definitiva il rinvio che ha voluto il legislatore si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non anche all’art. 570 c.p., comma 3, il quale, in deroga al principio generale, prevede la procedibilità “a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti di minori, dal n. 2 del precedente comma”.

Richiedi una consulenza legale su questo argomento.

Gli impianti ed i servizi condominiali devono essere perfettamente funzionali e fruibili da tutti i condomini

Cassazione civile, sez. II, 12 novembre 2012, n. 19616

Gli impianti ed i servizi in un condominio per essere perfettamente funzionali, ovvero essere idonei allo scopo cui sono destinati, devono assicurare, alle stesse condizioni, la stessa prestazione, ovvero, la stessa utilità a tutti i condomini.
Non è pensabile che un condomino possa o debba assumersi l’onere, ben poco conta se impegnativo o sopportabile, di effettuare uno o più interventi per rendere perfettamente funzionale un impianto condominiale, soprattutto, quando esistono tecniche che consentono di escludere, per la loro funzionalità, definitivamente la necessità di un intervento umano.
Nella specie, la Corte ha cassato la decisione dei giudici del merito che avevano concluso per la perfetta funzionalità dell’impianto di riscaldamento condominiale, anche se il CTU aveva accertato che nei radiatori dell’appartamento del condomino ricorrente, sito al piano attico, a causa della tipologia dell’impianto si accumulava una notevole quantità di gas che impediva la circolazione dell’acqua calda, e che per aversi un perfetto funzionamento era necessario sfiatare i radiatori ovvero intervenire manualmente sui radiatori per procedere allo spurgo del gas che si formava.

Richiedi una consulenza legale su questo argomento.

L’ente proprietario o gestore della strada risponde ex art. 2051 c.c. per i danni subiti dagli utenti. Sintesi delle evoluzioni giurisprudenziali.

Cassazione civile, sez. III, 6 novembre 2012, n. 19154

Nel corso dell’ultimo decennio una delle questioni più controverse in giurisprudenza riguardava la responsabilità della PA per i danni subiti dall’utente conseguenti all’utilizzo di beni demaniali e, segnatamente, per quelli conseguenti ad omessa od insufficiente manutenzione di strade pubbliche.
Si è sostenuto nelle pronunce più risalenti nel tempo che la PA, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, trovasse solo i limiti derivanti dall’art. 2043 c.c., per cui la vigilanza e il controllo sui beni di sua attribuzione comportava solo il dovere di evitare che i beni in questione non arrecassero danni ad altri secondo il dettato generale del noto principio fondamentale del neminem laedere.
In concreto quindi la PA, in base a questa concezione restrittiva, poteva nel suo richiamato potere discrezionale di vigilanza e controllo dei beni demaniali limitarsi ad evitare che detti beni costituissero per l’utente un pericolo occulto, cioè (come definito dalla giurisprudenza) non visibile e non prevedibile, che desse luogo al cosiddetto trabocchetto o insidia.
Pur tuttavia già con la sentenza n. 488 del 2003 (originata da un evento di danno verificatosi su un’autostrada, ma contenente enunciazioni di principi riferibili ad ogni tipo di bene), la terza sezione della Suprema Corte ha enunciato i seguenti principi:

  • La ratio della possibile esclusione della responsabilità a titolo di custodia è fondata, non sulla demanialità del bene, ma sulla impossibilità di evitare l’insorgenza di situazioni di pericolo nella cosa, in quanto soggetta all’uso diretto da parte di un rilevantissimo numero di utenti ed in quanto particolarmente estesa, tanto da rendere impossibile l’esercizio di un controllo adeguato: quando invece è consentita un’attività di vigilanza che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi, l’art. 2051 c.c. trova senz’altro applicazione anche nei confronti della pubblica amministrazione.
  • Per le situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura della cosa, l’uso generalizzato e l’estensione della res costituiscono dati in via generale irrilevanti in ordine al concreto atteggiarsi della responsabilità del custode.

L’evoluzione giurisprudenziale degli anni successivi è culminata nell’affermazione di Cass. civ. 25 luglio 2008 n. 20427 (seguita da ultimo da Cass. 3 aprile 2009 n. 8157), secondo la quale va superato l’assunto per cui l’art. 2051 c.c. è applicabile nei confronti della P.A. per le categorie di beni demaniali quali le strade pubbliche, solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne sia possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A., tale da impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (Cfr. Cass. Civ. 6 luglio 2006, n. 15383).

Si è, quindi, affermato il diverso principio secondo il quale:
«La responsabilità da cosa in custodia presuppone che il soggetto, al quale la si imputa, abbia, con la cosa, un rapporto definibile come di custodia; e perché questo rapporto ci sia è necessario che il soggetto abbia (e sia in grado di esplicare riguardo alla cosa) un potere di sorveglianza, il potere di modificarne lo stato e quello di escludere che altri vi apporti modifiche».
Si è ulteriormente precisato che per le strade aperte al traffico, è certo che l’ente proprietario (o il concessionario) si trova in una situazione che lo pone in grado di sorvegliarle, di modificarne le condizioni di fruibilità, di escludere che altri vi apporti cambiamenti, situazione che, a ben vedere, integra proprio lo status di custode.
In particolare, una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia della strada stessa (e l’onere probatorio di tale dimostrazione grava sul danneggiato), è comunque configurabile la responsabilità dell’ente pubblico custode, salvo che questo ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno.
L’ente proprietario (o concessionario) non può far nulla quando la situazione che provoca il danno si determina, non come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella sorveglianza della strada, ma in maniera improvvisa, atteso che solo questa ultima – al pari della eventuale colpa esclusiva dello stesso danneggiato in ordine al verificarsi del fatto – integra il caso fortuito previsto dall’art. 2051 c.c. quale scriminante della responsabilità del custode.
Concludendo, in sintesi, per costante giurisprudenza si è affermato che:
agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito, in linea generale, è applicabile l’art. 2051 c.c. in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura od alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere (Cass. Civ. 3 aprile 2009 n. 8157; Cass.Civ. 29 marzo 2007 n. 7763; Cass. Civ. 2 febbraio 2007 n. 2308).
É stato a tal proposito ulteriormente specificato in Cassazione Civile, sez. III, 3 aprile 2009, n. 8157, che, ai fini del giudizio sulla qualificazione della prevedibilità o meno della repentina alterazione dello stato della cosa, occorre avere riguardo, segnatamente per quanto concerne i pericoli derivanti da situazioni strutturali e dalle caratteristiche della cosa, al tipo di pericolosità che ha provocato l’evento di danno e che può atteggiarsi diversamente, ove si tratti di una strada, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto ed agli analoghi eventi che lo abbiano in precedenza interessato (ad esempio non può essere invocata l’imprevedibilità a fronte di una frana se il tratto di strada dove accade è stato interessato in precedenza da altri movimenti franosi, ancorché di minori dimensioni).

Allo stato dell’evoluzione giurisprudenziale può quindi affermarsi che:
«Una volta accertato che il fatto dannoso si è verificato a causa di una anomalia del manto stradale di una struttura viaria, strada o piazza che sia, è comunque configurabile la responsabilità dell’ente pubblico che ne è custode, salvo che quest’ultimo non dimostri di non avere potuto far nulla per evitare il danno.
Il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità può essere rappresentato anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale idonea a interrompere il nesso eziologico tra cosa ed evento dannoso.
Il giudizio sull’incidenza del comportamento del danneggiato nella produzione del danno non può prescindere dalla considerazione della natura della cosa e deve tener conto delle modalità che in concreto ne hanno caratterizzano la fruizione».
Assodato, dunque, che la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. è esclusa solamente dal caso fortuito – che è qualificazione incidente sul nesso causale e non sull’elemento psicologico dell’illecito (confr. Cass. civ. 7 luglio 2010, n. 16029; Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279) – in relazione a talune fattispecie può essere necessario stabilire se l’evento derivi in tutto o in parte dal comportamento dello stesso danneggiato.
Ne consegue che corollario della regola sancita dall’art. 2051 cod. civ. è quella dettata dall’art. 1227 comma 1, c.c.
Bisogna quindi valutare l’eventuale concorso colposo dello stesso danneggiato in quanto rileva la regola posta dall’art. 1227 c.c., comma 1, la quale prevede la riduzione del risarcimento secondo l’entità della colpa del danneggiato medesimo, sempre fatta salva l’ipotesi in cui il fatto di questi si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, tale da interrompe il nesso di causalità.
La diligenza del comportamento dell’utente del bene demaniale, e segnatamente della strada demaniale, va valutata anche in relazione all’affidamento che era ragionevole porre nell’utilizzo ordinario di quello specifico bene demaniale, con riguardo alle specifiche condizioni di luogo e di tempo. Di conseguenza, la diligenza che è richiesta al danneggiato nell’uso del bene demaniale, sarà diversa a seconda che si tratti di una strada campestre o del corso principale della città, pur facendo capo entrambe allo stesso demanio stradale dello stesso Comune, proprio perché il danneggiato fa affidamento su una diversa attività di controllo-custodia (che quindi ritiene esigibile) in relazione ai due tipi di strada dello stesso demanio.

Non è ammissibile ex art. 246 cpc la testimonianza della persona danneggiata in un sinistro stradale nel giudizio promosso da altro soggetto danneggiato.

Cassazione civile, sez. III, 14 febbraio 2013, n. 3642

La vittima di un sinistro stradale non può essere sentita come testimone nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altro soggetto danneggiato nel medesimo sinistro, e ciò ai sensi dell’art. 246 c.p.c. per cui “Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”.
A nulla rileva la circostanza che il testimone abbia dichiarato di essere stato risarcito dalla compagnia assicuratrice o di rinunciare al risarcimento, né che il relativo credito si sia prescritto (cfr. Cass. Civ. n. 16541/2012), il che non fa venir meno la sua incapacità a testimoniare.
Il danneggiato è, in quanto tale, titolare di un interesse giuridico, personale, concreto e attuale che legittima la sua partecipazione al giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altra persona danneggiata in conseguenza del medesimo sinistro.

RCAuto, confermati i quindici giorni di tolleranza anche in assenza di tacito rinnovo.

Con una circolare del 14 febbraio 2013 il ministero dell’Interno ha chiarito che le polizze assicurative senza più il tacito rinnovo, così come stabilito dal decreto legge 179 del 18 ottobre 2012 (convertito in legge n. 221 del 12/2012), rimangono operative anche nei 15 giorni successivi alla scadenza e pertanto gli automobilisti trovati con il tagliando di assicurazione scaduto entro questo termine non devono essere multati.
Il chiarimento si è reso necessario perché l’abolizione del tacito rinnovo per le polizze tradizionali avrebbe potuto creare qualche disguido a quegli automobilisti distratti che avessero dimenticato di rinnovare per tempo la polizza.
D’altra parte, all’indomani dell’abolizione del tacito rinnovo, si era ipotizzato il venir meno del cosiddetto periodo di tolleranza di quindici giorni successivi alla scadenza annuale.
La circolare ribadisce che la compagnia è tenuta ad avvisare l’automobilista della scadenza almeno 30 giorni prima, in modo da poter a valutare i preventivi di rinnovo e stipulare una nuova polizza. Per questa ragione, il riconoscimento della copertura nei 15 giorni successivi alla scadenza annuale va inteso come una cautela per l’automobilista e non una proroga dei termini della scadenza stessa. In attesa di sottoscrivere altro contralto in tempo utile, durante tale periodo di quindi giorni, l’automobilista può continuare ad esibire il certificala ed il contrassegno scaduti.
Chiarisce altresì il Ministero che “mentre la precedente condizione imponeva di verificare la continuità tra la validità di una polizza e la successiva consentendo all’operatore di polizia, nei casi di mancata copertura assicurativa, di orientare l’accertamento dell’illecito anche sull’applicazione dell’articolo 193 C.d.S., solo se vi era stata disdetta del contratto o comunque mancanza di proroga automatica della polizza, la nuova previsione normativa estende a tutti il beneficio della copertura assicurativa nel predetto periodo di quindici giorni, rendendo di fatto ininfluente tale ulteriore controllo.
Alla luce di quanto esposto, si ritiene non più sanzionabile ai sensi degli articoli 180 e 181 del Cd.S. la circolazione del veicolo con il certificato e il contrassegno assicurativo scaduti, atteso che la garanzia assicurativa prestata con il precedente contratto è estesa in ogni caso non oltre il quindicesimo giorno dalla data di scadenza dello stesso”.